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Discorsi e omelie di Papa Francesco

A Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze (18 Apr 2024)
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Buongiorno, benvenute!

Parlerò in castigliano.

Sono contento di incontrarvi mentre siete riunite per riflettere insieme e lavorare alla revisione delle vostre Costituzioni, quelle del ’90, o quelle precedenti, non so, lavorate tra voi.

È un appuntamento importante, perché non risponde soltanto a una necessità umana, alle contingenze della vita comunitaria: si tratta invece di un “tempo dello Spirito”, che siete chiamate a vivere come occasione di preghiera e di discernimento.

Restando interiormente aperte a ciò che lo Spirito Santo vuole suggerirvi, avete il compito di trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti per dare ancora maggiore slancio alla vita contemplativa che il Signore vi ha chiamato ad abbracciare, perché il carisma si conservi – il carisma è lo stesso – e che possa essere compreso e attirare tanti cuori, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.

Quando un Carmelo funziona bene attira, attira, non è vero? È come la luce con le mosche, attira, attira.

Rivedere le Costituzioni significa proprio questo: raccogliere la memoria del passato – non bisogna rinnegarlo – per guardare al futuro.

In effetti, voi mi insegnate che la vocazione contemplativa non porta a custodire delle ceneri, ma ad alimentare un fuoco che arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo.

Perciò, la memoria della vostra storia e di quanto negli anni è maturato nelle Costituzioni è una ricchezza che deve restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo, alla perenne novità del Vangelo, ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane.

Così si conserva un carisma.

Non cambia, ascolta e si apre a ciò che il Signore vuole in ogni momento.

Questo vale in generale per tutti gli istituti di vita consacrata, ma voi claustrali lo sperimentate in modo particolare, perché vivete in pieno la tensione tra la separazione dal mondo e l’immersione in esso.

Voi infatti non vi rifugiate in una consolazione spirituale intimistica o in una preghiera avulsa dalla realtà; al contrario, il vostro è un cammino in cui ci si lascia coinvolgere dall’amore di Cristo fino ad unirsi a Lui, perché questo amore pervada tutta l’esistenza e si esprima in ogni gesto e in ogni azione quotidiana.

Il dinamismo della contemplazione è sempre un dinamismo d’amore, è sempre una scala che ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità, come testimoni dell’amore ricevuto.

Con la sua sapienza e la sua fede ardente, la santa madre ve lo insegna.

Ella è convinta che l’unione mistica e interiore con la quale Dio lega l’anima a sé, quasi “sigillandola” col suo amore, pervade e trasforma tutta la vita, senza staccare dalle occupazioni quotidiane o suggerire una fuga nelle cose dello spirito.

Teresa afferma che è necessario un tempo consacrato al silenzio e all’orazione, ma bisogna intenderlo come la sorgente dell’apostolato e di tutte quelle mansioni quotidiane che il Signore ci chiede per servire la Chiesa.

Ella infatti afferma: «Marta e Maria devono offrire insieme ospitalità al Signore, trattenerlo sempre presso di loro, e non fargli cattiva accoglienza non dandogli da mangiare.

Come lo nutrirebbe Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se la sorella non la aiutasse? Il suo nutrimento è lo sforzo che facciamo di avvicinare le anime a Lui in tutti i modi possibili, perché esse si salvino e non cessino di lodarlo» (S.

Teresa d’Avila, Mansioni, VII, IV, 14).

Fin qui la citazione, che conoscete meglio di me.

In questo modo, la vita contemplativa non rischia di ridursi a un’inerzia spirituale, che distoglie dalle incombenze della vita quotidiana.

Un prete che non conosceva questo tipo di mistica le chiamava “le monache sonnolente”, che vivono dormendo.

Ma la vita contemplativa continua a fornire la luce interiore per il discernimento.

E di quale luce avete bisogno per rivedere le Costituzioni, affrontando i tanti problemi concreti dei monasteri e della vita comunitaria? La luce è questa: la speranza nel Vangelo.

 Ma sempre radicato nei padri fondatori, nella madre fondatrice e in san Giovanni.

La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani.

Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà.

Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni.

Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto.

Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

Guardate avanti.

Questo voglio augurarvi.

Guardate avanti con la speranza evangelica e con i piedi scalzi, cioè con la libertà dell’abbandono in Dio.

Guardate al futuro con le radici nel passato.

E questo essere totalmente immerse nella presenza del Signore vi dia sempre anche la gioia della fraternità e dell’amore vicendevole.

La Madonna vi accompagni.

Di cuore benedico tutte voi, benedico il vostro lavoro di questi giorni, benedico le vostre comunità, benedico le monache del monastero.

E vi chiedo di continuare a pregare per me.

A favore, non contro! Grazie.

Udienza Generale del 17 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi.

I vizi e le virtù.

15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza.

Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani.

Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità.

Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere.

Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda.

Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza.

Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”.

La temperanza è un potere su sé stessi.

Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati».

«Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà.

La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n.

1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura.

In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili.

Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili.

In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice.

Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire.

Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio.

Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia.

Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato.

Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole.

Pensa a quello che dice.

Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite.

Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature.

C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura.

E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente.

Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera.

Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera.

Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso.

Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male.

In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse.

Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara.

Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso.

Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza.

Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola.

È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso.

Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre.

Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie.

Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato.

La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita.

Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale.

Il dono della temperanza.

_________________________

Saluti

Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France.

Apprenons à cultiver la vertu de la tempérance pour savoir contrôler nos paroles et nos actes, afin d’éviter des situations de conflits inutiles, et promouvoir la paix dans notre société.

Que Dieu vous bénisse !

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia.

Impariamo a coltivare la virtù della temperanza, in modo da poter controllare le nostre parole e le nostre azioni per evitare conflitti inutili e promuovere la pace nella nostra società.

Dio vi benedica!]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, Finland, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Korea and the United States of America.

In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

May the Lord bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Corea e Stati Uniti d’America.

Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

Il Signore vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, indem wir versuchen, die Tugenden zu leben, legen wir die Gewohnheiten des alten Menschen ab, um den neuen Menschen anzuziehen, der nach dem Bild Gottes geschaffen ist (vgl.

Eph 4,22-24).

Auf diese Weise dürfen wir schon jetzt von dem neuen Leben kosten, an dem der Auferstandene uns Anteil gibt.

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, cercando di vivere le virtù, abbandoniamo le abitudini dell’uomo vecchio per rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio (cfr.

Ef 4,22-24).

In questo modo, possiamo già pregustare la nuova vita di cui il Risorto ci rende partecipi.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

Pidamos a Cristo resucitado que nos enseñe a vivir con sobriedad y en acción de gracias por tantos dones que recibimos de su generosidad.

Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

Muchas gracias.

Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, especialmente a quantos vieram do Brasil, convidando todos a permanecer fiéis a Cristo Jesus.

Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser sinal de confiança e esperança no meio dos outros.

Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare a quanti sono venuti dal Brasile, invitando tutti a rimanere fedeli a Cristo Gesù.

Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere segno di fiducia e di speranza in mezzo agli altri.

Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

السَّعادَةُ معَ القناعَةِ هي فَرَحٌ يُزهِرُ في قلبِ الَّذين يَعرِفونَ ويُقَدِّرونَ ما هو الأهَمُّ في الحياة، حتَّى يَستَمتِعُوا بها بشكلٍ أفضل.

باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita, affinché possa gustarla meglio.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich.

Bóg obdarował Wasz naród bogatą historią i kulturą, wielkimi Świętymi oraz piękną ziemią ojczystą.

Dziękując za te dary, pielęgnujcie wewnętrzną wolność ducha, która potrafi z umiarkowaniem korzystać z dóbr duchowych i materialnych, z kultury i sztuki, oraz rezygnować z tego, co niszczy życie i godność osoby ludzkiej.

Z serca Wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

Dio ha regalato alla vostra nazione una ricca storia e cultura, grandi Santi e una bellissima terra natia.

Ringraziando per questi doni, coltivate una libertà interiore di spirito che sappia usare con temperanza i beni spirituali e materiali, la cultura e l’arte, e rinunciando a tutto ciò che distrugge la vita e la dignità della persona umana.

Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i Religiosi Giuseppini del Murialdo e i Sacerdoti delle Diocesi di Milano e di Andria che celebrano significativi anniversari di Ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli nella loro adesione a Cristo e nel servizio ai fratelli.

Accolgo con affetto i fedeli di Trevinano, Agerola, Triggiano e le Confraternite di Taranto, come pure il gruppo ANSPI di Avellino e l’Associazione Paesaggi rurali di interesse storico di Arezzo.

Tutti esorto ad essere generosi protagonisti di bontà e di accoglienza evangelica.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti che ci rallegrano con la loro presenza.

A ciascuno il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

E anche il nostro pensiero, di tutti noi, in questo momento va alle popolazioni in guerra.

Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele.

Pensiamo all’Ucraina, la martoriata Ucraina.

Pensiamo ai prigionieri di guerra: che il Signore muova la volontà per liberarli tutti.

E parlando dei prigionieri, mi vengono in mente coloro che sono torturati.

La tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima, non è umana.

Pensiamo a tante torture che feriscono la dignità della persona, e a tanti torturati.

Il Signore aiuti tutti e benedica tutti.

E a tutti voi la mia benedizione!

Regina Caeli, 14 Apr 2024
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

Oggi il Vangelo ci riporta alla sera di Pasqua.

Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, quando da Emmaus tornano i due discepoli e raccontano il loro incontro con Gesù.

E mentre esprimono la gioia della loro esperienza, il Risorto appare a tutta la comunità.

Gesù arriva proprio mentre stanno condividendo il racconto dell’incontro con Lui.

Questo mi fa pensare che è bello condividere, è importante condividere la fede.

Questo racconto ci fa pensare all’importanza di condividere la fede in Gesù risorto.

Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi.

Parecchi sono superficiali e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da pettegolezzi e malignità.

Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno male.

Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive, e tutti sappiamo quanto fa bene sentirsi dire cose buone, e come stiamo meglio quando ciò accade.

Ed è bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri.

Eppure c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare.

Facciamo fatica a parlare di che? Della più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù.

Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne.

Ciascuno di noi potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato, e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione, forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza.

Questi incontri, che ognuno di noi ha avuto con Gesù, condividerli e trasmetterli.

È importante fare questo in famiglia, nella comunità, con gli amici.

Così come fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei pensieri e dei sentimenti buoni che ci aiutano tanto ad andare avanti, anche degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella vita di fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi.

Se lo facciamo, Gesù, proprio come è successo ai discepoli di Emmaus la sera di Pasqua, ci sorprenderà e renderà ancora più belli i nostri incontri e i nostri ambienti.

Proviamo allora a ricordare, adesso, un momento forte della nostra vita, un incontro decisivo con Gesù.

Ognuno lo ha avuto, ognuno di noi ha avuto un incontro con il Signore.

Facciamo un piccolo silenzio e pensiamo: quando io ho trovato il Signore? Quando il Signore si è fatto vicino a me? Pensiamo in silenzio.

E questo incontro con il Signore, l’ho condiviso per dare gloria proprio al Signore? E anche, ho ascoltato gli altri, quando mi dicono di questo incontro con Gesù?

La Madonna ci aiuti a condividere la fede per rendere le nostre comunità sempre di più luoghi di incontro con il Signore.

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Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle!

Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, le notizie giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa dell’intervento da parte dell’Iran.

Faccio un accorato appello affinché si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio oriente in un conflitto bellico ancora più grande.

Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui.

Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza.

È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini.

Si giunga presto ad un cessate il fuoco a Gaza e si percorrano le vie del negoziato, con determinazione.

Si aiuti quella popolazione, precipitata in una catastrofe umanitaria, si liberino subito gli ostaggi rapiti mesi fa! Quanta sofferenza! Preghiamo per la pace.

Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza! Sì al dialogo e sì alla pace!

Oggi in Italia si celebra la centesima Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema «Domanda di futuro.

I giovani tra disincanto e desiderio».

Incoraggio questo grande Ateneo a proseguire il suo importante servizio formativo, nella fedeltà alla sua missione e attento alle odierne istanze giovanili e sociali.

Di cuore rivolgo il mio benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini venuti dall’Italia e da tanti Paesi.

Saluto in particolare i fedeli di Los Angeles, Houston, Nutley e Riverside negli Stati Uniti d’America; come pure i polacchi, specialmente - quante bandiere polacche! - quelli di Bodzanów e i giovani volontari dell’Equipe di Aiuto alla Chiesa dell’Est.

Accolgo e incoraggio i responsabili delle Comunità di Sant’Egidio di alcuni Paesi latinoamericani.

Saluto i volontari delle ACLI impegnati nei patronati in tutta Italia; i gruppi di Trani, Arzachena, Montelibretti; i ragazzi della professione di fede della parrocchia Santi Silvestro e Martino in Milano; i cresimandi di Pannarano; e il gruppo giovani “Arte e Fede” delle Suore Dorotee.

Saluto con affetto i bambini di varie parti del mondo, venuti a ricordare che il 25-26 maggio la Chiesa vivrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini.

Grazie! Invito tutti ad accompagnare con la preghiera il cammino verso questo evento – la Prima Giornata dei Bambini – e ringrazio quanti stanno lavorando per prepararlo.

E a voi, bambine e bambini, dico: vi aspetto! Tutti voi! Abbiamo bisogno della vostra gioia e del vostro desiderio di un mondo migliore, un mondo in pace.

Preghiamo, fratelli e sorelle, per i bambini che soffrono per le guerre – sono tanti! – in Ucraina, in Palestina, in Israele, in altre parti del mondo, nel Myanmar.

Preghiamo per loro e per la pace.

Auguro a tutti una buona domenica.

Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Saluto i ragazzi dell’Immacolata.

Buon pranzo e arrivederci!

Messaggi da Medjugorje

In breve

Una lettura e una omelia
Rito romano
Ve 19 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,52-59.
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In quel tempo, i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono.

Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.

Rito ambrosiano
Ve 19 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,22-29.
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Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti. Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà.

Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».

A Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze (18 Apr 2024)
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Buongiorno, benvenute!

Parlerò in castigliano.

Sono contento di incontrarvi mentre siete riunite per riflettere insieme e lavorare alla revisione delle vostre Costituzioni, quelle del ’90, o quelle precedenti, non so, lavorate tra voi.

È un appuntamento importante, perché non risponde soltanto a una necessità umana, alle contingenze della vita comunitaria: si tratta invece di un “tempo dello Spirito”, che siete chiamate a vivere come occasione di preghiera e di discernimento.

Restando interiormente aperte a ciò che lo Spirito Santo vuole suggerirvi, avete il compito di trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti per dare ancora maggiore slancio alla vita contemplativa che il Signore vi ha chiamato ad abbracciare, perché il carisma si conservi – il carisma è lo stesso – e che possa essere compreso e attirare tanti cuori, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.

Quando un Carmelo funziona bene attira, attira, non è vero? È come la luce con le mosche, attira, attira.

Rivedere le Costituzioni significa proprio questo: raccogliere la memoria del passato – non bisogna rinnegarlo – per guardare al futuro.

In effetti, voi mi insegnate che la vocazione contemplativa non porta a custodire delle ceneri, ma ad alimentare un fuoco che arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo.

Perciò, la memoria della vostra storia e di quanto negli anni è maturato nelle Costituzioni è una ricchezza che deve restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo, alla perenne novità del Vangelo, ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane.

Così si conserva un carisma.

Non cambia, ascolta e si apre a ciò che il Signore vuole in ogni momento.

Questo vale in generale per tutti gli istituti di vita consacrata, ma voi claustrali lo sperimentate in modo particolare, perché vivete in pieno la tensione tra la separazione dal mondo e l’immersione in esso.

Voi infatti non vi rifugiate in una consolazione spirituale intimistica o in una preghiera avulsa dalla realtà; al contrario, il vostro è un cammino in cui ci si lascia coinvolgere dall’amore di Cristo fino ad unirsi a Lui, perché questo amore pervada tutta l’esistenza e si esprima in ogni gesto e in ogni azione quotidiana.

Il dinamismo della contemplazione è sempre un dinamismo d’amore, è sempre una scala che ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità, come testimoni dell’amore ricevuto.

Con la sua sapienza e la sua fede ardente, la santa madre ve lo insegna.

Ella è convinta che l’unione mistica e interiore con la quale Dio lega l’anima a sé, quasi “sigillandola” col suo amore, pervade e trasforma tutta la vita, senza staccare dalle occupazioni quotidiane o suggerire una fuga nelle cose dello spirito.

Teresa afferma che è necessario un tempo consacrato al silenzio e all’orazione, ma bisogna intenderlo come la sorgente dell’apostolato e di tutte quelle mansioni quotidiane che il Signore ci chiede per servire la Chiesa.

Ella infatti afferma: «Marta e Maria devono offrire insieme ospitalità al Signore, trattenerlo sempre presso di loro, e non fargli cattiva accoglienza non dandogli da mangiare.

Come lo nutrirebbe Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se la sorella non la aiutasse? Il suo nutrimento è lo sforzo che facciamo di avvicinare le anime a Lui in tutti i modi possibili, perché esse si salvino e non cessino di lodarlo» (S.

Teresa d’Avila, Mansioni, VII, IV, 14).

Fin qui la citazione, che conoscete meglio di me.

In questo modo, la vita contemplativa non rischia di ridursi a un’inerzia spirituale, che distoglie dalle incombenze della vita quotidiana.

Un prete che non conosceva questo tipo di mistica le chiamava “le monache sonnolente”, che vivono dormendo.

Ma la vita contemplativa continua a fornire la luce interiore per il discernimento.

E di quale luce avete bisogno per rivedere le Costituzioni, affrontando i tanti problemi concreti dei monasteri e della vita comunitaria? La luce è questa: la speranza nel Vangelo.

 Ma sempre radicato nei padri fondatori, nella madre fondatrice e in san Giovanni.

La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani.

Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà.

Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni.

Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto.

Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

Guardate avanti.

Questo voglio augurarvi.

Guardate avanti con la speranza evangelica e con i piedi scalzi, cioè con la libertà dell’abbandono in Dio.

Guardate al futuro con le radici nel passato.

E questo essere totalmente immerse nella presenza del Signore vi dia sempre anche la gioia della fraternità e dell’amore vicendevole.

La Madonna vi accompagni.

Di cuore benedico tutte voi, benedico il vostro lavoro di questi giorni, benedico le vostre comunità, benedico le monache del monastero.

E vi chiedo di continuare a pregare per me.

A favore, non contro! Grazie.

- Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

Novità

05.08.2023 - GMG 2023 Epocale voce di pace, a partire dalla via crucis. Testo in preghiere gmg2023.

Misericordia
1) L'Anima che venererà questa immagine non perirà. Le prometto, ancora sulla Terra, la vittoria sui nemici, ma specialmente in punto di morte. Io, il Signore, la proteggerò come Mia Gloria.

I raggi del Mio Cuore significano Sangue ed Acqua, e riparano le Anime dall'ira del Padre Mio. Beato chi vive alla loro ombra, poiché non lo raggiungerà la mano della Giustizia Divina.

Proteggerò, come una madre protegge il suo bambino, le anime che diffonderanno il culto alla Mia Misericordia, per tutta la loro vita; nell'ora della loro morte, non sarò per loro Giudice ma Salvatore.

2) La preghiera: "O sangue ed acqua che scaturisci dal cuore di Gesù, come sorgente di misericordia per noi, io confido in Te!"

Quando, con fede e con cuore contrito, mi reciterai questa preghiera per qualche peccatore io gli darò la grazia della conversione.


il dipinto originale perso per anni e meno noto


I due raggi rappresentano il Sangue e l'Acqua. Il raggio pallido rappresenta l'Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime... Entrambi i raggi uscirono dall'intimo della Mia Misericordia, quando sulla croce il Mio Cuore, già in agonia, venne squarciato con la lancia. Tali raggi riparano le anime dallo sdegno del Padre Mio. Beato colui che vivrà alla loro ombra, poiché non lo colpirà la giusta mano di Dio
3) Concederò grazie senza numero a chi recita questa Corona (della misericordia). Se recitata accanto ad un morente non sarò giusto Giudice, ma Salvatore.

La coroncina: un Padre, una Ave, un Credo. Poi per cinque volte:

  • una volta "Eterno Padre di offro il corpo e il sangue, l'anima e la divinità del tuo dilettissimo figlio in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.
  • 10 volte: "Per la sua dolorosa passione, abbi pietà di noi e del mondo intero"
Alla fine tre volte: Santo Dio, Santo Forte, abbi pietà di noi e del mondo intero.


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