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Discorsi e omelie di Papa Francesco

Ai Partecipanti al pellegrinaggio promosso dai Chierici Regolari Teatini, nel quinto Centenario di fondazione (14 Set 2024)
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Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Saluto il Preposito Generale e tutti voi.

Sono contento di incontrarvi, nel quinto centenario della professione solenne di San Gaetano da Thiene e dei suoi primi compagni, fatta qui, in questa Basilica, il 14 settembre 1524.

La storia dice che i Teatini hanno avuto qualcosa con i Gesuiti, io non ci credo! Andiamo avanti.

Era l’inizio del vostro Istituto religioso, nato per praticare e promuovere “la vita comune e il servizio di Dio verso i fratelli”, e per contribuire alla riforma della Chiesa attraverso la riforma di sé stessi, sul modello della prima comunità apostolica (cfr Mc 3,13-15).

Vi ringrazio, e vorrei incoraggiarvi a continuare a camminare in questa triplice direzione, nel rinnovamento, nella comunione e nel servizio.

E mi piace farlo prendendo spunto dal luogo in cui ci troviamo e dalle circostanze in cui i vostri Fondatori vi fecero la loro professione.

Primo: il rinnovamento.

I primi Teatini non hanno professato i Voti solenni in un edificio perfetto, completo, come lo vediamo oggi, ma praticamente in un grande “cantiere”.

Tale appariva la Basilica Vaticana nel 1524.

Da tempo infatti si era messo mano alla graduale demolizione dell’antico edificio costantiniano, non più adatto alle esigenze del popolo di Dio, per costruirne uno nuovo.

I lavori procedevano a rilento, i fondi erano scarsi e anche sui progetti non c’era piena chiarezza.

Eppure ci si è messi all’opera, perché la comunità cresceva e le strutture di prima non bastavano più.

Fratelli, questa è un’immagine che ci aiuta a riflettere sulla necessità, per restare fedeli alla nostra missione, di intraprendere cammini coraggiosi di rinnovamento.

È interessante: la fedeltà va rinnovata.

Non può darsi una fedeltà che non si rinnovi, rimanendo fondati sull’antico, sì, ma al tempo stesso pronti a demolire ciò che non serve più per costruire del nuovo (cfr Lc 5,36-39) docili allo Spirito e fiduciosi nella Provvidenza.

Questo è il rinnovamento.

La seconda cosa: la comunione.

Come sappiamo, in molti hanno lavorato a San Pietro: artisti famosi, abili artigiani e una moltitudine di operai e manovali, uomini e donne, impegnati nelle mansioni più umili, uniti nella stessa fatica per dar vita al nuovo edificio.

E anche questo è un segno importante: una casa accogliente, infatti, non si costruisce da soli, ma insieme, in comunità, valorizzando il contributo di tutti (cfr 1Cor 12,7-11).

Rinnovamento, comunione e, terzo punto, la “fabbrica”, cioè il servizio.

I progetti più belli non avrebbero portato a nulla se poi le persone, rimboccandosi le maniche, non si fossero messe al lavoro.

I buoni propositi rimangono sterili, se non ci si mette concretamente al servizio gli uni degli altri, con umiltà, buona volontà e spirito di sacrificio.

Ce lo ha mostrato san Gaetano, con le molte opere di carità che ha promosso, alcune vive fino ad oggi; ma prima di tutto ce lo ha insegnato Gesù, venuto non ad essere servito, ma a servire e dare la vita (cfr Mc 10,45).

Ed è molto significativo che il vostro Istituto sia nato proprio nella festività dell’Esaltazione della Santa Croce.

Cari fratelli e sorelle, quanto è bella questa Basilica! Poi però guardiamoci l’un l’altro e ricordiamoci che l’edificio in cui ci troviamo è solo un simbolo: la realtà siamo noi, personalmente e in comunità.

Cinquecento anni fa i vostri fondatori non hanno consacrato la loro vita a un cantiere di mattoni e di marmi, ma di pietre vive (cfr 1Pt 2,4-5); hanno consacrato la vita alla Chiesa con la “C” maiuscola, la Chiesa sposa di Cristo, popolo di Dio e corpo mistico del Signore (cfr Cost.

dogm.

Lumen gentium, 6-9).

È per il suo bene che ciascuno di loro ha speso sé stesso fino alla fine, dando vita a un’opera che, dopo secoli di fedeltà, oggi è affidata a voi.

Coraggio e avanti!

Perciò invito tutta la Famiglia Teatina ad abbracciare con gioia, nel Giubileo odierno, propositi di rinnovamento, di comunione e di servizio, sull’esempio di San Gaetano.

Grazie, grazie tante per il lavoro che fate.

Vi benedico e prego per voi! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Viaggio Apostolico a Singapore: Incontro Interreligioso con i giovani nel “Catholic Junior College” (13 Set 2024)
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Grazie! Grazie per le vostre parole.

Tre parole che avete detto mi hanno colpito: “critici da salotto”, “zona di comfort” e “tecnologia” come dovere di usarla e anche rischio di usarla.

Questo è il discorso che avevo preparato ma adesso andiamo [spontaneamente]

La gioventù è coraggiosa e alla gioventù piace andare verso la verità.

Fare cammino, fare creatività.

E la gioventù deve stare attenta a non cadere in quello che tu hai detto, i “critici da salotto”, parole parole...

Un giovane dev’essere critico.

Un giovane che non critica non va bene.

Ma dev’essere costruttivo nella critica, perché c’è una critica distruttiva, che fa tante critiche ma non fa una strada nuova.

Io domando a tutti i giovani, ad ognuno: tu sei critico? Hai il coraggio di criticare e anche il coraggio di lasciarti criticare dagli altri? Perché, se tu critichi, l’altro critica te.

Questo è il dialogo sincero tra i giovani.

I giovani devono avere il coraggio di costruire, di andare avanti e uscire dalle zone “confortevoli”.

Un giovane che sceglie di passare sempre la sua vita in modo “confortevole” è un giovane che ingrassa! Ma non ingrassa la pancia, ingrassa la mente! Per questo dico ai giovani: “Rischiate, uscite! Non abbiate paura!”.

La paura è un atteggiamento dittatoriale che ti rende paralitico, ti procura una paralisi.

È vero che tante volte i giovani sbagliano, tante, e sarebbe bello che ognuno di noi, che ognuno di voi, giovani, pensaste: quante volte ho sbagliato? Ho sbagliato perché ho incominciato a camminare e ho fatto degli errori nel cammino.

E questo è normale, l’importante è rendersi conto di aver sbagliato.

Faccio una domanda, vediamo chi mi risponde di voi.

Cosa è peggio? Sbagliare perché faccio un cammino o non sbagliare perché rimango chiuso in casa? Tutti, la seconda! Un giovane che non rischia, che ha paura di sbagliare è un vecchio! Capito? Voi avete parlato dei media, oggi ci sono tante capacità, tante possibilità di usare i media, il telefonino, la televisione.

Io vi domando: è buono usare i media o non è buono? Pensiamo: un giovane che non usa i media, com’è quel giovane? Chiuso.

Un giovane che vive totalmente schiavo dei media com’è quel giovane? È un giovane disperso.

Tutti i giovani devono usare i media ma usare i media perché ci aiutino ad andare avanti, non perché ci rendano schiavi.

Understood? Siete d’accordo o no?

Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso.

E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”, “La mia è quella vera, la tua non è vera…”.

Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”].

È così.

Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio.

Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì.

Ma Dio è Dio per tutti.

E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio.

“Ma il mio Dio è più importante del tuo!”.

È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio.

Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini.

Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio.

Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno.

Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo.

Una cosa che aiuta tanto è il rispetto, il dialogo.

Io vi dirò una cosa.

Non so se succede qui, in questa città, ma in altre città succede.

Fra i giovani c’è una cosa brutta: bullying.

Io domando a voi: chi è il più coraggioso o la più coraggiosa per dirmi cosa pensa del bullying? [alcuni giovani rispondono] Mi è piaciuto, ognuno ha dato una definizione con un aspetto diverso del bullying.

Ma sempre, sia il bullying verbale sia il bullying fisico, sempre è un’aggressione.

Sempre.

E pensate, nelle scuole o nei gruppi giovanili o di bambini, il bullying lo fanno con coloro che sono più deboli.

Per esempio, con un bambino o una bambina disabile.

E noi abbiamo visto qui questo bel ballo con bambini disabili! Ognuno di noi ha le proprie abilità e le proprie disabilità.

Tutti abbiamo abilità? [rispondono: “Yes!”] E tutti abbiamo qualche disabilità? [rispondono: “Yes!”] Anche il Papa? Yes, all, all! E come noi abbiamo le nostre disabilità, dobbiamo rispettare le disabilità degli altri.

You agree? E questo è importante; perché dico questo? Perché superare queste cose aiuta in quello che voi fate, il dialogo interreligioso.

Perché il dialogo interreligioso si costruisce con il rispetto degli altri.

E questo è molto importante.

Qualche domanda? No? Io voglio ringraziare e ripetere quello che Raaj ci ha detto: fare tutto il possibile per mantenere un atteggiamento coraggioso e promuovere uno spazio in cui i giovani possono entrare e dialogare.

Perché il vostro dialogo è un dialogo che genera un cammino, che fa strada.

E se voi dialogate da giovani, dialogherete anche da grandi, da adulti, dialogherete come cittadini, come politici.

E vorrei dirvi una cosa sulla storia: ogni dittatura nella storia, la prima cosa che fa è tagliare il dialogo.

Vi ringrazio di queste domande e sono contento di incontrare i giovani, incontrare questi coraggiosi, quasi “sfacciati”, sono bravi! Auguro che tutti voi giovani andiate avanti con speranza e non andiate indietro! Rischiate! Altrimenti cresce la pancia! God bless you and pray for me, I do for you.

E adesso, in silenzio, preghiamo gli uni per gli altri.

In silenzio.

Che Dio benedica tutti noi.

E quando passerà un po’ di tempo e voi non sarete più giovani, sarete grandi e sarete anche nonni, insegnate tutte queste cose ai bambini.

God bless you and pray for me, don’t forget! But pray for, not against!

Viaggio Apostolico a Singapore: Santa Messa nello Stadio Nazionale presso il “Singapore Sports Hub” (12 Set 2024)
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«La conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1Cor 8,1).

San Paolo rivolge queste parole ai fratelli e alle sorelle della comunità cristiana di Corinto: una comunità ricca di molti carismi (cfr 1Cor 1,4-5), a cui l’Apostolo spesso raccomanda, nelle sue lettere, di coltivare la comunione nella carità.

Noi le ascoltiamo mentre ringraziamo insieme il Signore per la Chiesa di Singapore, pure ricca di doni, vivace, in crescita e in dialogo costruttivo con le varie altre Confessioni e Religioni con cui condivide questa terra meravigliosa.

Proprio per questo, vorrei commentare le stesse parole prendendo spunto dalla bellezza di questa città, e dalle grandi e ardite architetture che contribuiscono a renderla così famosa e affascinante, cominciando dall’impressionante complesso del National Stadium, in cui ci troviamo.

E vorrei farlo ricordando che, in ultima analisi, anche all’origine di queste imponenti costruzioni, come di ogni altra impresa che lasci un segno positivo in questo mondo, non ci sono, come molti pensano, prima di tutto i soldi, né la tecnica e nemmeno l’ingegneria – tutti mezzi utili, molto utili –, ma c’è l’amore: “l’amore che edifica”, appunto.

Forse qualcuno potrebbe pensare che questa sia un’affermazione ingenua, ma se riflettiamo bene non è così.

Non c’è opera buona, infatti, dietro cui non ci siano delle persone magari geniali, forti, ricche, creative, ma pur sempre donne e uomini fragili, come noi, per i quali senza l’amore non c’è vita, né slancio, né motivo per agire, né forza per costruire.

Cari fratelli e sorelle, se qualcosa di buono c’è e rimane in questo mondo, è solo perché, in infinite e varie circostanze, l’amore ha prevalso sull’odio, la solidarietà sull’indifferenza, la generosità sull’egoismo.

Senza questo, anche qui nessuno avrebbe potuto far crescere una metropoli così grande, gli architetti non avrebbero progettato, gli operai non avrebbero lavorato e nulla si sarebbe potuto realizzare.

Allora ciò che noi vediamo è un segno, e dietro ciascuna delle opere che ci stanno di fronte ci sono tante storie d’amore da scoprire: di uomini e donne uniti gli uni agli altri in una comunità, di cittadini dediti al loro Paese, di madri e padri solleciti per le loro famiglie, di professionisti e lavoratori di ogni genere e grado, onestamente impegnati nei loro diversi ruoli e mansioni.

E ci fa bene imparare a leggerle, queste storie, scritte sulle facciate delle nostre case e sui tracciati delle nostre strade, e tramandarne la memoria, per ricordarci che nulla di duraturo nasce e cresce senza l’amore.

A volte succede che la grandezza e l’imponenza dei nostri progetti possono farcelo dimenticare, illudendoci di potere, da soli, essere gli autori di noi stessi, della nostra ricchezza, del nostro benessere, della nostra felicità, ma alla fine la vita ci riporta sempre ad un’unica realtà: senza amore non siamo nulla.

La fede, poi, ci conferma e ci illumina ancora di più circa questa certezza, perché ci dice che alla radice della nostra capacità di amare e di essere amati c’è Dio stesso, che con cuore di Padre ci ha desiderati e portati all’esistenza in modo totalmente gratuito (cfr 1Cor 8,6) e che in modo altrettanto gratuito ci ha redenti e liberati dal peccato e dalla morte, con la morte e risurrezione del suo Figlio Unigenito.

È in Lui, in Gesù, che ha origine e compimento tutto ciò che siamo e che possiamo diventare.

Così nel nostro amore vediamo un riflesso dell’amore di Dio, come diceva San Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita in questa terra (cfr S.

Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa nello Stadio Nazionale di Singapore, 20 novembre 1986), aggiungendo una frase importante, e cioè che «per questo l’amore è caratterizzato da un profondo rispetto per tutti gli uomini, a prescindere dalla loro razza, dal loro credo o da qualunque cosa li renda diversi da noi» (ivi).

Fratelli e sorelle, questa è una parola importante per noi perché, al di là dello stupore che proviamo davanti alle opere fatte dall’uomo, ci ricorda che c’è una meraviglia ancora più grande, da abbracciare con ancora maggiore ammirazione e rispetto: e cioè i fratelli e le sorelle che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, senza preferenze e senza differenze, come ben testimoniano la società e la Chiesa singaporiane, etnicamente così varie e al tempo stesso così unite e solidali!

L’edificio più bello, il tesoro più prezioso, l’investimento più redditizio agli occhi di Dio, qual è? Siamo noi, siamo tutti noi: figli amati dello stesso Padre (cfr Lc 6,36), chiamati a nostra volta a diffondere amore.

Ce ne parlano in vari modi le letture di questa Santa Messa, che da diversi punti di vista descrivono la stessa realtà: la carità, che è delicata nel rispettare la vulnerabilità di chi è debole (cfr 1Cor 8,13), provvidente nel conoscere e accompagnare chi è incerto nel cammino della vita (cfr Sal 138), magnanima, benevola, nel perdonare oltre ogni calcolo e ogni misura (cfr Lc 6,27-38).

L’amore che Dio ci dimostra, e che ci invita a praticare a nostra volta, è così: “risponde generosamente alle necessità dei poveri, è contrassegnato dalla pietà per coloro che soffrono, pronto a offrire ospitalità, fedele nei tempi difficili, sempre disposto a perdonare, a sperare», perdonare e sperare, al punto di «ricambiare una bestemmia con una benedizione è il fulcro del Vangelo” (cfr S.

Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa nello Stadio Nazionale di Singapore, 20 novembre 1986).

Lo possiamo vedere in tante figure di santi: uomini e donne conquistati dal Dio della misericordia, al punto da divenirne riflesso, eco, immagine vivente.

E io ne vorrei, in conclusione, ricordare due.

La prima è Maria, del cui Nome Santissimo oggi celebriamo la memoria.

A quante persone hanno dato e danno speranza il suo sostegno e la sua presenza, su quante labbra è apparso e appare il suo Nome in momenti di gioia e anche di dolore! E questo perché in Lei, in Maria, noi vediamo l’amore del Padre manifestarsi in uno dei modi più belli e totali: quello della tenerezza – non dimentichiamo la tenerezza! – la tenerezza di una mamma, che tutto comprende, che tutto perdona e che non ci abbandona mai.

Per questo ci rivolgiamo a Lei!

Il secondo è un santo caro a questa terra, che qui ha trovato ospitalità tante volte durante i suoi viaggi missionari.

Parlo di San Francesco Saverio, accolto in questa terra in molte occasioni, l’ultima il 21 luglio 1552.

Di lui ci è rimasta una bellissima lettera indirizzata a Sant’Ignazio e ai primi compagni, in cui manifesta il suo desiderio di andare in tutte le università del suo tempo a «gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità», perché si sentano spinti a farsi missionari per amore dei fratelli, «dicendo dal profondo del loro cuore: “Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?”» (Lettera da Cochín, gennaio 1544).

Potremmo anche noi fare nostre queste parole, sull’esempio suo e di Maria: “Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?”, perché ci accompagnino non solo in questi giorni, ma sempre, come impegno costante ad ascoltare e a rispondere prontamente agli inviti all’amore e alla giustizia, che anche oggi continuano a venirci dall’infinita carità di Dio.

Messaggi da Medjugorje

In breve

Una lettura e una omelia
Rito romano
Da 15 Set : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 8,27-35.
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In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?».

Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente.

Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà».

Rito ambrosiano
Da 15 Set : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 3,1-13.
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C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorchè il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.

Ai Partecipanti al pellegrinaggio promosso dai Chierici Regolari Teatini, nel quinto Centenario di fondazione (14 Set 2024)
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Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Saluto il Preposito Generale e tutti voi.

Sono contento di incontrarvi, nel quinto centenario della professione solenne di San Gaetano da Thiene e dei suoi primi compagni, fatta qui, in questa Basilica, il 14 settembre 1524.

La storia dice che i Teatini hanno avuto qualcosa con i Gesuiti, io non ci credo! Andiamo avanti.

Era l’inizio del vostro Istituto religioso, nato per praticare e promuovere “la vita comune e il servizio di Dio verso i fratelli”, e per contribuire alla riforma della Chiesa attraverso la riforma di sé stessi, sul modello della prima comunità apostolica (cfr Mc 3,13-15).

Vi ringrazio, e vorrei incoraggiarvi a continuare a camminare in questa triplice direzione, nel rinnovamento, nella comunione e nel servizio.

E mi piace farlo prendendo spunto dal luogo in cui ci troviamo e dalle circostanze in cui i vostri Fondatori vi fecero la loro professione.

Primo: il rinnovamento.

I primi Teatini non hanno professato i Voti solenni in un edificio perfetto, completo, come lo vediamo oggi, ma praticamente in un grande “cantiere”.

Tale appariva la Basilica Vaticana nel 1524.

Da tempo infatti si era messo mano alla graduale demolizione dell’antico edificio costantiniano, non più adatto alle esigenze del popolo di Dio, per costruirne uno nuovo.

I lavori procedevano a rilento, i fondi erano scarsi e anche sui progetti non c’era piena chiarezza.

Eppure ci si è messi all’opera, perché la comunità cresceva e le strutture di prima non bastavano più.

Fratelli, questa è un’immagine che ci aiuta a riflettere sulla necessità, per restare fedeli alla nostra missione, di intraprendere cammini coraggiosi di rinnovamento.

È interessante: la fedeltà va rinnovata.

Non può darsi una fedeltà che non si rinnovi, rimanendo fondati sull’antico, sì, ma al tempo stesso pronti a demolire ciò che non serve più per costruire del nuovo (cfr Lc 5,36-39) docili allo Spirito e fiduciosi nella Provvidenza.

Questo è il rinnovamento.

La seconda cosa: la comunione.

Come sappiamo, in molti hanno lavorato a San Pietro: artisti famosi, abili artigiani e una moltitudine di operai e manovali, uomini e donne, impegnati nelle mansioni più umili, uniti nella stessa fatica per dar vita al nuovo edificio.

E anche questo è un segno importante: una casa accogliente, infatti, non si costruisce da soli, ma insieme, in comunità, valorizzando il contributo di tutti (cfr 1Cor 12,7-11).

Rinnovamento, comunione e, terzo punto, la “fabbrica”, cioè il servizio.

I progetti più belli non avrebbero portato a nulla se poi le persone, rimboccandosi le maniche, non si fossero messe al lavoro.

I buoni propositi rimangono sterili, se non ci si mette concretamente al servizio gli uni degli altri, con umiltà, buona volontà e spirito di sacrificio.

Ce lo ha mostrato san Gaetano, con le molte opere di carità che ha promosso, alcune vive fino ad oggi; ma prima di tutto ce lo ha insegnato Gesù, venuto non ad essere servito, ma a servire e dare la vita (cfr Mc 10,45).

Ed è molto significativo che il vostro Istituto sia nato proprio nella festività dell’Esaltazione della Santa Croce.

Cari fratelli e sorelle, quanto è bella questa Basilica! Poi però guardiamoci l’un l’altro e ricordiamoci che l’edificio in cui ci troviamo è solo un simbolo: la realtà siamo noi, personalmente e in comunità.

Cinquecento anni fa i vostri fondatori non hanno consacrato la loro vita a un cantiere di mattoni e di marmi, ma di pietre vive (cfr 1Pt 2,4-5); hanno consacrato la vita alla Chiesa con la “C” maiuscola, la Chiesa sposa di Cristo, popolo di Dio e corpo mistico del Signore (cfr Cost.

dogm.

Lumen gentium, 6-9).

È per il suo bene che ciascuno di loro ha speso sé stesso fino alla fine, dando vita a un’opera che, dopo secoli di fedeltà, oggi è affidata a voi.

Coraggio e avanti!

Perciò invito tutta la Famiglia Teatina ad abbracciare con gioia, nel Giubileo odierno, propositi di rinnovamento, di comunione e di servizio, sull’esempio di San Gaetano.

Grazie, grazie tante per il lavoro che fate.

Vi benedico e prego per voi! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

- Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

Novità

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Misericordia
1) L'Anima che venererà questa immagine non perirà. Le prometto, ancora sulla Terra, la vittoria sui nemici, ma specialmente in punto di morte. Io, il Signore, la proteggerò come Mia Gloria.

I raggi del Mio Cuore significano Sangue ed Acqua, e riparano le Anime dall'ira del Padre Mio. Beato chi vive alla loro ombra, poiché non lo raggiungerà la mano della Giustizia Divina.

Proteggerò, come una madre protegge il suo bambino, le anime che diffonderanno il culto alla Mia Misericordia, per tutta la loro vita; nell'ora della loro morte, non sarò per loro Giudice ma Salvatore.

2) La preghiera: "O sangue ed acqua che scaturisci dal cuore di Gesù, come sorgente di misericordia per noi, io confido in Te!"

Quando, con fede e con cuore contrito, mi reciterai questa preghiera per qualche peccatore io gli darò la grazia della conversione.


il dipinto originale perso per anni e meno noto


I due raggi rappresentano il Sangue e l'Acqua. Il raggio pallido rappresenta l'Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime... Entrambi i raggi uscirono dall'intimo della Mia Misericordia, quando sulla croce il Mio Cuore, già in agonia, venne squarciato con la lancia. Tali raggi riparano le anime dallo sdegno del Padre Mio. Beato colui che vivrà alla loro ombra, poiché non lo colpirà la giusta mano di Dio
3) Concederò grazie senza numero a chi recita questa Corona (della misericordia). Se recitata accanto ad un morente non sarò giusto Giudice, ma Salvatore.

La coroncina: un Padre, una Ave, un Credo. Poi per cinque volte:

  • una volta "Eterno Padre di offro il corpo e il sangue, l'anima e la divinità del tuo dilettissimo figlio in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.
  • 10 volte: "Per la sua dolorosa passione, abbi pietà di noi e del mondo intero"
Alla fine tre volte: Santo Dio, Santo Forte, abbi pietà di noi e del mondo intero.


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