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I fioretti
di San Francesco
(edizione Cesari) Fonte SacriCuori.org

LEZIONE IV

Egli, dunque, si affrettava per presentarsi, secondo quanto stabilito, al cospetto del Sommo Pontefice, papa Innocenzo III. Ma lo prevenne, nella sua degnazione e clemenza, Cristo potenza e sapienza di Dio, che, per mezzo di una visione, ammonì il suo Vicario a prestare ascolto con dolcezza e ad acconsentire con benevolenza alle suppliche di quel poverello.

Difatti il Pontefice romano vide in sogno la Basilica Lateranense che stava ormai per crollare e un uomo poverello, piccolo e spregevole, che la sorreggeva, mettendovi sotto le proprie spalle, perché non cadesse.

Il saggio pontefice, pertanto, contemplando nel servitore di Dio la povertà, la costanza nel perseguire la perfezione, lo zelo per le anime, l’infocato fervore di una volontà santa, esclamò: «Veramente questi è colui che con l’opera e la dottrina sorreggerà la Chiesa di Cristo».

Perciò, concependo da allora speciale devozione verso di lui e inchinandosi in tutto alle sue richieste, approvò la Regola, conferì il mandato di predicare la penitenza, concesse tutte le cose domandate e liberamente promise che di più ne avrebbe concesso in seguito.


LEZIONE VI

Una volta, com’era suo costume, egli era intento a vegliare in preghiera, fisicamente lontano dai figli.

Verso la mezzanotte, mentre alcuni dei frati dormivano, alcuni pregavano, un carro di fuoco di mirabile splendore, sopra il quale era posto anche un globo di fuoco luminosissimo, in forma di sole, entrò dalla porticina della dimora dei frati e per tre volte si volse in qua e in là per l’abitazione.

A quella vista meravigliosa e preclara, rimasero stupefatti quelli che vegliavano; furono, insieme destati e atterriti quelli che dormivano: e avvertirono con pari intensità la chiarezza del cuore e quella del corpo, giacché, per virtù di quella luce mirabile, la coscienza di ciascuno fu nuda davanti alla coscienza di tutti gli altri.

Compresero tutti concordemente, mentre tutti leggevano nel cuore di ciascuno, che il Signore aveva fatto vedere loro il santo padre Francesco trasfigurato in quella immagine, per significare che egli era venuto nello spirito e nella potenza di Elia ed era stato eletto principe della milizia spirituale, cocchio di Israele e suo auriga.

E, appunto, il Santo, ritornato tra i frati, incominciò a fortificarli spiritualmente, sulla base della visione mostrata loro dal cielo, cominciò a scrutare minutamente i segreti delle loro coscienze e a predire, inoltre, il futuro e a risplendere con tali miracoli da mostrare chiaramente e palesemente come il duplice spirito di Elia si era posato su di lui con la sua pienezza, così che incamminarsi dietro la sua dottrina e la sua vita era per tutti la cosa più sicura.

LEZIONE IV

L’umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, si era giuridicamente impadronita dell’uomo di Dio. Difatti, benché egli risplendesse per il privilegio di molte virtù, sembrava tuttavia che l’umiltà avesse conseguito un dominio particolare su di lui: minore di tutti i minori.

E certo secondo il criterio con cui lui stesso si giudicava, dichiarandosi il più grande peccatore, egli era proprio e soltanto un piccolo e sudicio vaso di creta: in realtà, invece, era un vaso eletto di santità, fulgido e adorno di molteplici virtù e di grazia, consacrato dalla purezza.

Si studiava di essere spregevole agli occhi propri ed altrui; di ripulire, confessandoli in pubblico, le macchie in lui nascoste e di celare nel segreto del cuore i doni del Datore supremo: non voleva in alcun modo che venisse rivelato, per averne gloria, quanto poteva essere occasione di rovina.

Piuttosto, per compiere ogni giustizia nella realizzazione dell’umiltà perfetta, si impegnò a rimanere soggetto non solo ai superiori, ma anche agli inferiori, a tal punto che aveva l’abitudine di promettere obbedienza anche al compagno di viaggio, fosse stato anche il più semplice. In questo modo egli non comandava autoritariamente, alla maniera di un prelato; ma, alla maniera di un ministro e di un servo, obbediva per umiltà anche ai sudditi.

CAPITOLO XXI.

Del santissimo miracolo che fece san Francesco
quando convertì il ferocissimo lupo d’Agobio.

Al tempo che san Francesco dimorava nella città d’Agobio, nel contado d’Agobio apparì un lupo grandissimo terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini, intantochè tutti i cittadini istavano in gran paura, perocchè spesse volte s’appressava alla cittade, e tutti andavano armati quando uscivano della cittade, come se eglino andassero a combattere, e contuttociò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo; e per paura di questo lupo e’ vennero a tanto che nessuno era ardito d’uscire fuori della terra.

Per la qual cosa, avendo compassione san Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo, benchè li cittadini al tutto non gliel consigliavano: e facendosi il segno della santissima Croce, uscì fuori della terra egli coi suoi compagni, tutta la sua confidenza ponendo in Dio.

E dubitando gli altri d’andare più oltre, san Francesco prese il cammino inverso il luogo dov’era il lupo.

Ed ecco che, vedendo molti cittadini, li quali erano venuti a vedere codesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a san Francesco colla bocca aperta: ed appressandosi a lui, san Francesco gli fa il segno della santissima Croce, e chiamollo a sè e disseli così: Vieni qui, frate lupo; io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male nè a me, nè a persona.

Mirabile cosa! immantinente che san Francesco ebbe fatta la Croce, il lupo terribile chiuse la bocca, e ristette di correre: e fatto il comandamento, venne mansuetamente, come un agnello, e gittossi ai piedi di san Francesco a giacere.

E allora san Francesco gli parlò così: Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, ed hai fatti grandi maleficii, guastando e uccidendo le creature di Dio, senza sua licenza: e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d’uccidere gli uomini, fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu degno se’ delle forche come ladro e omicida pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t’è nemica.

Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro; sicchè tu non gli offenda più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e nè li uomini nè li cani ti perseguitino più.

Dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di occhi, e con inchinare di capo, mostrava d’accettare ciò che san Francesco dicea e di volerlo osservare.

Allora san Francesco ripetè qui: Frate lupo, dappoichè ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto, che io ti farò dare le spese continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicchè tu non patirai più fame; imperciocchè io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male.

Ma poich’io t’accatto questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi imprometta che tu non nocerai mai a nessuna persona umana, nè ad animale; promettimi tu questo? E il lupo con inchinare il capo fece evidente segnale che ’l prometteva.

E san Francesco sì dice: Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciocch’io me ne possa bene fidare: e distendendo la mano san Francesco, per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sulla mano di san Francesco, dandogli quello segnale di fede ch’egli potea.

E allora disse san Francesco: Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo che tu venga ora meco, senza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio.

E il lupo ubbidiente se ne va con lui, a modo d’uno agnello mansueto; di che li cittadini vedendo questo, fortemente si maravigliavano.

E subitamente questa novitade si seppe per tutta la cittade: di che ogni gente, maschi e femmine, grandi e piccoli, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con san Francesco.

Ed essendo ragunato tutto il popolo, san Francesco si levò suso a predicare loro, dicendo tra l’altre cose come per li peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze: e troppo è più pericolosa la fiamma dello inferno, la quale ha da durare eternalmente alli dannati, che non è la rabbia del lupo, il quale non può uccidere se non il corpo; quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca di uno piccolo animale? Tornate dunque, carissimi, a Dio, e fate degna penitenza dei vostri peccati; e Dio vi libererà dal lupo nel presente tempo, e nel futuro dal fuoco infernale.

E fatta la predica disse san Francesco: Udite, fratelli miei: frate lupo, che è qui dinanzi da voi, m’ha promesso e fattomene fede di far pace con voi, e di non offendervi mai in cosa nessuna; e voi gli promettete di dargli ogni dì le cose necessarie; ed io v’entro mallevadore per lui, che ’l patto della pace egli osserverà fermamente.

Allora tutto il popolo a una voce promise di nutricarlo continuamente.

E san Francesco dinanzi a tutti disse al lupo: E tu, frate lupo, prometti d’osservare a costoro il patto della pace, che tu non offenda nè gli uomini, nè gli animali, nè nessuna creatura? E il lupo inginocchiasi, e inchina il capo: e con atti mansueti di corpo, e di coda, e d’orecchi dimostra, quanto è possibile, di volere servare loro ogni patto.

Dice san Francesco: Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta, così dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa, e che tu non mi ingannerai della mia promessa e malleveria, ch’io ho fatta per te.

Allora il lupo, levando il piè ritto, sì ’l pose in mano di san Francesco.

Onde tra questo atto e degli altri detti di sopra fu tanta allegrezza e ammirazione in tutto il popolo, sì per la divozione del santo, e sì per la novitade del miracolo, e sì per la pace del lupo, che tutti incominciarono a gridare a ciclo, laudando e benedicendo Iddio, il quale avea loro mandato san Francesco, che per li suoi meriti gli avea liberati dalla bocca della crudele bestia.

E poi il detto lupo vivette due anni in Agobio; ed entrava dimesticamente per le case, a uscio a uscio, senza fare male a persona, e senza esserne fatto a lui; e fu notricato cortesemente dalla gente; e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava dietro.

Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di vecchiaia: di che li cittadini molto si dolevano; imperocchè veggendolo andare sì mansueto per la cittade, si raccordavano meglio della virtù e santitade di san Francesco.


LEZIONE IX

Fondato, ormai, nell’umiltà di Cristo e ricco di povertà, benché non possedesse proprio nulla, si diede tuttavia a riparare la chiesa, secondo la missione a lui assegnata dalla croce, con tale slancio che sottoponeva al peso delle pietre il corpo fiaccato dai digiuni e non aborriva dal richiedere l’aiuto dell’elemosina anche a coloro con i quali aveva avuto l’abitudine di vivere da ricco.


Inoltre, aiutato dalla pietà dei fedeli, che già avevano incominciato a riconoscere nell’uomo di Dio una virtù straordinaria, riparò non soltanto San Damiano, ma anche le chiese, cadenti e abbandonate, dedicate al Principe degli apostoli e alla Vergine gloriosa.


In tale modo egli preannunciava misteriosamente, col simbolo dell’azione esterna e sensibile, quanto il Signore si proponeva di realizzare per mezzo di lui negli spiriti.


Come, infatti, sotto la guida di quest’uomo santo furono riparati quei tre edifici, così doveva essere riparata in maniera triforme la Chiesa di Cristo; secondo la forma, la Regola e la dottrina da lui date.

Di questo era stato un segno preannunciatore anche la voce venuta a lui dalla croce, che aveva replicato per tre volte l’incarico di riparare la casa di Dio e questo noi ora costatiamo realizzato nei tre Ordini da lui istituiti.



CAPITOLO XXVII.

Come san Francesco convertì a Bologna due scolari, e fecionsi
frati; e poi all’uno di loro levò una grande tentazione da dosso.
Giugnendo una volta San Francesco alla città di Bologna tutto il popolo della città correa per vederlo; ed era sì grande la calca che la gente a grande pena potea giugner alla piazza; ed essendo tutta piena la piazza d’uomini e di donne e di scolari, e san Francesco si leva suso nel mezzo del luogo, alto, e comincia a predicare quello che lo Spirito Santo gl’insegnava: e predicava sì maravigliosamente, che parea piuttosto che predicasse angelo che uomo: e pareano le sue parole celestiali, a modo che saette acute, le quali trapassavano sì il cuore di coloro che lo udivano, che in quella predica grande moltitudine d’uomini e di donne si convertì a penitenza.

Fra li quali si furono due nobili studianti della Marca d’Ancona; e l’uno avea nome Pellegrino, e l’altro Rinieri: i quali due per la detta predica toccati nel cuore dalla divina inspirazione, vennero a san Francesco, dicendo che al tutto voleano abbandonare il mondo e essere de’ suoi frati.

Allora san Francesco, conoscendo per rivelazione che costoro erano mandati da Dio, e che nello Ordine doveano tenere santa vita, e considerando il loro grande fervore, gli ricevette allegramente, dicendo: Tu Pellegrino, tieni nell’ordine la via dell’umiltà, e tu frate Rinieri, servi a’ frati, e così fu; imperocchè frate Pellegrino mai non volle andare come chierico, ma come laico, benchè fosse molto litterato e grande decretalista; per la quale umiltà e’ pervenne in grande perfezione di virtù, tanto che frate Bernardo primogenito di san Francesco disse di lui ch’egli era uno dei più perfetti frati di questo mondo.

E finalmente il detto frate Pellegrino, pieno di virtù, passò di questa vita beata, con molti miracoli innanzi alla morte e dopo.

E detto frate Rinieri divotamente e fedelmente serviva a’ frati, vivendo in grande santità e umiltade: e diventò molto famigliare di san Francesco.

Essendo dappoi fatto ministro della Provincia della Marca d’Ancona, ressela grande tempo in grandissima pace e discrezione.

Dopo alcuno tempo, Iddio gli permise una grandissima tentazione nell’anima sua, di che egli tribulato e angosciato, fortemente s’affliggea con digiuni, con discipline , con lagrime e orazioni, il dì e la notte: e non potea però cacciare quella tentazione; ma ispesse volte era in grande disperazione, imperocchè per essa si reputava abbandonato da Dio.

Istando in questa disperazione, per ultimo rimedio si determinò d’andare a san Francesco, pensandosi così: Se san Francesco mi mostrerà buon viso, e mostrerammi familiaritade come suole, io credo che Iddio m’averà ancora pietade: ma se no, sarà segnale ch’io sarò abbandonato da Dio.

Muovesi adunque costui, e va a san Francesco, il quale in quello tempo era in palagio del vescovo d’Assisi gravemente infermo; e Iddio gli rivelò tutto il modo della tentazione, e della disposizione di detto frate Rinieri, e ’l suo venire.

E immantinente san Francesco chiama frate Leone e frate Masseo, e dice loro: Andate tosto incontro al mio figliuolo carissimo frate Rinieri, e abbracciatelo da mia parte e salutatelo, e ditegli che tra tutti i frati che sono nel mondo io amo lui singolarmente.

Vanno costoro, e trovano per la via frate Rinieri, e abbraccianlo dicendoli ciò che san Francesco avea loro imposto.

Onde tanta consolazione e dolcezza gli fu all’anima che quasi uscì di sè: e ringraziando Iddio con tutto il cuore, andò e giunse al luogo, dove san Francesco giacea infermo.

E benchè san Francesco fosse gravemente infermo, nientedimeno sentendo venire frate Rinieri, si levò e fecelisi incontro, e abbracciollo dolcissimamente e sì gli disse: Figliuolo mio carissimo frate Rinieri, fra tutti i frati che sono nel mondo, io amo te, io amo te singolarmente, e detto questo sì gli fece il segno della santissima croce nella fronte, e quivi il baciò; e poi gli disse: Figliuolo carissimo, questa tentazione l’ha permessa Iddio per tuo grande guadagno di merito, ma se non vuogli più questo guadagno, non l’abbi.

Maravigliosa cosa! che sì tosto come san Francesco ebbe dette queste parole, subitamente si partì da lui ogni tentazione, come se mai in vita sua non l’avesse punto sentita, e rimase tutto consolato,

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